Basta cambiare le parole. Al nome di un noto luogo geografico associamo immagini che si proiettano e dilatano nella nostra mente occupandone per un istante tutto lo spazio utile di memoria. Queste immagini sono composte per gran parte da ciò che di questi luoghi è già stato molto detto, fotografato, pubblicizzato, filmato, dipinto. Cartellonistica che inventa suggestioni. Che finiscono, tuttavia, per definire i luoghi in modo univoco, sottraendo ad essi parte della loro specificità umana, culturale e ambientale. Le isole Cicladi, dove ho trascorso tra fine maggio e giugno le vacanze, sono esemplari per una riflessione sull’argomento.
Se qualche immagine la parola “Cicladi” ha veicolato nel corso degli ultimi quarant’anni è sicuramente quella di casette bianche e azzurre, libertà, quiete, cupole color zaffiro, edonismo sfrenato (in almeno un paio di esse), mare cristallo, anziani al bar che giocano a backgammon e sgranano komboloi. Tutto questo, tutte queste immagini di per sé veritiere possono far posto a nuovi disegni, nuove connessioni tra parole e rappresentazioni. Lo sforzo è quello di uscire dalla comfort zone rassicurante di quel riassunto visivo del meglio che il paese può offrire. Occorre uscire ogni tanto dalla logica qualità-prezzo applicata al viaggio, quella sorta di “devo vedere il meglio e il più tipico perché ne valga davvero la spesa”.
Recentemente sono ritornata in vacanza all’arcipelago dopo sedici anni, e ho visitato isole che, a parte Naxos, non conoscevo. Amo il senso di libertà totalizzante nel viaggiare di ferry in ferry, sempre verso nuovi litorali, nuovi entroterra, nuovi borghi aggrappati alle alture e alla luce.
Le pennellate del mare rincorrono il biancore delle case quasi ovunque alle Cicladi. Ma esistono tante altre parole su cui dipingere immagini. Parole che rintracci nel paesaggio, nella cultura materiale, nella storia.
Piccole isole come Tinos, Sifnos, Amorgos offrono vedute in realtà che si fanno spazio facilmente fuori dall’immaginario balneare. In tarda primavera, sono isole con entroterra di coloratissimi fiori e arbusti rosso rame. Ecco poi nuove parole. A Tinos, la parola è “colombaia”. Architetture di origine veneziana, le colombaie spuntano inaspettate, come spessi ricami di lino fra i verdi pendii terrazzati. Edifici particolarissimi, con ornati semplici, ripetitivi, regolari. Che fanno pensare a geometrie facili per scandire il tempo, per trattenere qualcosa dell’universo, fanno pensare alle scacchiere, all’arte primitiva. Un’altra parola è “lunetta”. Le lunette sono quei motivi di marmo realizzati a mano che sormontano gli usci. Quando il meltemi soffia arrabbiato costringe a tenere le imposte chiuse, ma dalla lunetta il vento trapela risuonando di frescura. Frescura all’interno delle case, ecco un altro immaginario. A Sifnos esulta invece la parola φλάρος. I flaros sono i curiosi copricamini in terracotta, per proteggere il camino dalle piogge e dal meltemi, e ogni flaros è orientato e forato diversamente a seconda della posizione della casa. L’isola di Amorgos è storicamente un luogo di esilio, e questa parte della sua storia sembra scorrere come la linfa sotterranea del paesaggio. Il mare qui spesso te lo devi guadagnare, non è sempre semplice raggiungere le cale se si escludono appena un paio di minuscole spiagge a ridosso del villaggio di Katapola. Famosa per il monastero Παναγία Χοζοβιώτισσα che sembra essere nato sulla parete rocciosa a cui si aggrappa riservato e bianchissimo, Amorgos lascia senza fiato. Di non solo mare e sabbia e case con le porte azzurre vivranno gli occhi qui, ma di lento vagabondare, di colline severe lambite da un mare anche molto scuro e rocce a precipizio. Di grotte raggiunte a nuoto, ricoperte di madrepore, di coralligeni rosa, arancioni, malva e vive di acque fosforescenti. Un’altra parola è “lavoro”. Molti lavoratori, ben oltre i cinquant’anni, da Atene raggiungono le isole per svolgere lavori stagionali. La crisi ha messo al tappeto famiglie, sicurezze, il “dato per scontato” su cui si costruiscono beati sonni. E riesci ad avere la piena consapevolezza delle conseguenze esistenziali che la crisi ha avuto conversando con le persone. Tutti raccontano con grande passione della propria vita, in qualche modo.
Vale sempre il viaggio quando ascolti parole nuove. Vale il viaggio, ogni volta che un’immagine unica, tua soltanto, si aggancerà a un luogo di cui si è molto parlato, e riempirà per un istante tutto lo spazio utile di memoria.