Oasi, un fenicottero vi seppellirà

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La bellezza inaspettata dei paesaggi. La meraviglia. Lo so, sembra anacronistica la bellezza inaspettata in un pianeta subissato da anteprime fotografiche di ogni luogo della Terra. Non è anacronistico, se si fa a meno di intossicarsi di anticipazioni a colpi di click compulsivi su foto di luoghi che ci interessa visitare.

Sono tornata in Sardegna tra giugno e luglio, nella regione che rivela tutto il carisma del mare. Ma, come ho già scritto su queste pagine tempo fa, anche le persone più “marine” quando visitano l’entroterra sardo – la Barbagia ad esempio, o l’interno del Parco del Golfo di Orosei  – sono folgorati da un susseguirsi di meraviglie. Cioè di paesaggi inaspettati.

Tra le meraviglie marine per me inaspettate, quest’anno c’è stata l’Oasi di Biderosa, nella zona del Golfo di Orosei.  L’Oasi, il cui dépliant recita “Natura incontaminata nel Golfo di Orosei – Un paradiso a numero chiuso” inanella cinque cale bellissime e a ridosso il respiro di un patrimonio arboreo prezioso. L’Oasi si visita autonomamente con il proprio veicolo. All’interno, piccoli parcheggi su sterrato sono situati nei punti di accesso al mare, mentre i punti di birdwatching dislocati vicino allo stagno sono raggiungibili a piedi – è vietato lasciare i veicoli a bordo strada (stretta e ovviamente sterrata).

Le cale, se raggiunte di primo mattino, sono stupende includendo l’incanto della solitudine più assoluta. Poi, con il passare delle ore i visitatori aumentano e, benché l’Oasi sia a numero chiuso, l’effetto è sempre meno Oasi e sempre più Un’estate al mare (voglia di remare).

Non dirò che è questo il problema di cui voglio parlare. Infatti, le varie tipologie istituzionali di aeree protette (riserve naturali, oasi, ecc.), anche di piccole dimensioni, costituiscono non solo l’equa e indispensabile tutela del territorio in un Paese altamente antropizzato come il nostro, ma sono mete sempre più ricercate da una quanto mai variegata tipologia di visitatori. Ossia non solo ecologisti rigorosi e bird-watcher per intenderci (c’è chi auspica la sola presenza di questa tipologia di pubblico, definendo così la necessità di magnificare la sola bontà di un’élite), ma visitatori desiderosi di trascorrere una giornata fuori città immersi nella natura.  In un Paese dove le ferie più lunghe sono concesse per lo più a luglio ed agosto non è corretto colpevolizzare i visitatori e alzare il sopracciglio accompagnandolo da un sospiro e dire “Ah quarant’anni fa la Sardegna era un Eden, non c’era nessuno!”. Capisco bene. Quarant’anni fa in Sicilia, ad esempio, o in Grecia, c’erano luoghi così poco antropizzati e così magnifici da apparirmi prima primigeni e poi mitologici e ne conservo ricordi indelebili. Negli stessi luoghi mediterranei, oggi, simili atmosfere si possono vivere solo in primavera, giugno e ottobre. Oppure si può decidere di iniziare le giornata vacanziera alle sette del mattino, colazione e poi via alle cale e ai sentieri, sicuri di essere quasi soli almeno fino alle otto e mezza.

E arrivo al problema. O forse all’enigma. Nella cala più grande, più sabbiosa delle cinque, attrezzata con un regolare camion-panini posizionato discretamente tra i ginepri, trionfava sulla battigia un pedalò di plastica rosa con le sembianze di un fenicottero dallo sguardo vitreo di chi sembrava piombato lì per caso. Ma, non era l’unico pupazzone. Infatti lungo i sentieri per le cale faticavano già uomini e donne carichi di materassini di ogni forma e dimensione, perché anche nell’Oasi i “bambini si devono divertire”. E devono poterlo fare solo con i giochi preferiti. Ho visto molti genitori-portantini che sotto trentasette gradi arrancavano con reticelle in spalla piene di secchielli e formine e sotto l’ascella tenevano liocorni pronti a cavalcare le acque dell’oasi.

La parola e la definizione ambientalista di Oasi non rimanda all’inclusione di plastica e giretti in pedalò. Ammirare l’acqua in cinque tinte di mare che si rincorrono verso l’orizzonte, e vedere sguazzare fenicotteri rosa con bambini e adulti pedalanti e urlanti proprio non ci sta. E non ci sta non perché non ci si deve divertire con i pedalò (in fondo parte un po’ dell’infanzia di tutti, e nel complesso sono ecologicamente più innocui di tante altre trovate). E allora perché non ci sta? Perché quando si snatura la sostanza essa non è più aderente al linguaggio e quindi l’Oasi diventa qualsiasi altro posto. Un posto dove deve esserci spazio per tutte le esigenze di contentezza. Una centro multifunzionale del sorriso, se “divertimentificio” vi pare trito e ritrito.

Magnifiche Oasi, un fenicottero in vetroresina vi seppellirà.

La chimica della gioia

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La chimica della gioia

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Il nuoto è, per chi lo pratica con passione, una speciale condizione umana, una dipendenza, una chimica della gioia. Che cosa accade a noi nuotatori appassionati dopo numerose vasche? Massicce quantità di beta–endorfine liberate nel cervello abbracciano strette i recettori sparsi in vari punti del sistema nervoso. L’effetto è possente, dura un paio d’ore. Un processo stupefacente, nel vero senso della parola, che dà dipendenza. Lo sanno benissimo tutti i nuotatori. Felicità per me, ogni volta, raccontarlo.

Nuoto con regolarità da più di trentacinque anni e, come ho scritto altrove, non riesco a smettere. Devi amare l’acqua se ami il nuoto. Ovvietà. Ma se amerai il nuoto, imparerai presto a conoscere che cosa è veramente quell’acqua che nutre il fiume della tua città, che muove il mare e scatena torrenti e cascate. Imparerai ad apprezzare, incredibilmente, la natura artificiale della fresca acqua clorata di una piscina, anche d’inverno. E d’estate  riconoscerai l’instabile carattere del mare. Affronterai le sue improvvise variazioni di umore, come l’intreccio di correnti tiepide e freddissime sotto il tuo corpo che potranno, complice un vento improvviso, rendere faticoso il ritorno alla caletta, alla spiaggia o al gommone, mettendo a prova fiato, forza e volontà. In una parola tutta la tua linfa vitale. Che ritroverai sdraiandoti al sole e inebriandoti di luce o bevendo caffè caldo al riparo a nuotata conclusa. In una giornata di mare mosso, imparerai a tuffarti dentro le onde più alte appena si formano, sotto le creste non ancora spumose, e per quasi due ore dimenticherai di avere più di cinquant’anni. Urlerai di gioia e scherzerai con la vita come quando eri adolescente, anzi meglio di allora, perché il tempo oggi è forse davvero più tuo e ne conosci tutta la preziosità.

Esiste da sempre nella storia dell’umanità il bisogno di sentirsi altrove, passando per vari sentieri fisico–mentali. Meditativi, contemplativi, adrenalinici. Gettare la zavorra dei pensieri più pesanti e distruttivi, procedere per sottrazione del superfluo e dell’inquinante l’umore, rifugiandosi nell’astrazione, fuggendo da tutti i bisogni reali e indotti che sembrano indispensabili, per scoprire che siamo nati nudi. Ecco, quando nuoto è come se il mio corpo oltrepassasse ad una ad una tutte le barriere ingrate del tempo. Ogni guizzo è sempre di colore chiaro, la bracciata solleva solo trasparenze e mi sento tutt’una con la grazia fluttuante e fantasiosa del movimento che non pesa. Cinquanta, sessanta vasche continue da venticinque metri e mi trasformo in puro movimento mentre la mente si svuota. Le bolle si rincorrono verso l’alto e il suono subacqueo di me che respiro agisce come un mantra liquido. I pensieri si semplificano, le idee affiorano, le distanze dalla bellezza si accorciano. E poi a ogni vasca compiuta la virata, toccare la parete e capovolgersi con una capriola. L’armonia, l’equilibrio, che oggi chiamiamo con una volgare riduzione benessere e lo misuriamo in calorie, sono le mie mete natatorie.