A bordo di Lady Catherine

A bordo di Lady Catherine

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Isle of Harris, Outer Hebrides (2006)

 

Scheggia insulare del nord Europa, l’arcipelago delle isole Ebridi è un manto d’erba ancorato ad acque scure e trepidanti. Il cielo insegue l’inquietudine del mare ed è smisurato, incostante, si gonfia di luce e subito dopo di buio. Il traghetto Caledonian MacBrayne procedeva su acque color della cenere ed era avvolto dalla nebbia. Una nebbia graffiante, densa di particole ghiacciate che il vento spruzzava impietosamente sulle nostre facce disorientate. Le isole comparvero finalmente all’orizzonte, sagome basse che evocavano terre inesplorate e primordiali. Scure coste rocciose, muschi e licheni, i folletti non potevano essere troppo distanti.

Una volta trovato alloggio sull’isola di Harris, facemmo lunghe escursioni. Alcune spiagge erano lambite da acque sorprendentemente chiare, turchesi, sfumate. Le sabbie, bianche e fini, erano impreziosite dallo smeraldo dell’erba, soffice e umida. In un giorno di bonaccia, decidemmo per un’uscita a bordo di un gozzo di legno. Il nostro ‘capitano’, il signor Hamish Taylor, aveva avuto alle spalle una lunga storia di navigazione, era stato marconista navale e conosceva bene i mari del nord. Aveva lo sguardo entusiasta e una gentilezza che contrastava con l’archetipo del lupo di mare.

I racconti che ci avrebbe regalato sarebbero stati davvero tutti per noi, curiosi di visitare fiordi e conoscere la storia locale. Dopo un paio d’ore di placida navigazione, con un cielo sempre mutevole e a tratti minaccioso, Hamish ancorò la barca in una baia e ci offri del tè e una fetta di torta. Provammo quel piacere tutto nordico del caldo conforto in climi ostili che lui rese ancora più familiare servendoci le tazze su una tovaglia apparecchiata con cura. Parlammo di mare e correnti, ci disse che la cosa più temuta dagli abitanti delle Ebridi Esterne è la violenza del vento. Ci raccontò di come qualche anno prima una bufera aveva travolto una baia e fatto crollare un grande spuntone di roccia. Poi parlammo di foche, di salmoni, di predatori umani e marini e di leggende locali. Lungo il ritorno ci fermammo all’imboccatura di una grotta e Hamish raccolse un’alga con il gancio d’accosto e me la fece assaggiare. La mia prima alga fresca di mare. Non era buona né cattiva, ma era raccolta nella solitudine delle acque più profonde, e questo lo rese uno speciale frutto della parte liquida della Terra.

La nostra uscita si concluse in una baia piena di foche. Questi animali visti da vicino, nel loro habitat, trasmettono una serenità infinita. I loro occhi bui e un po’ desolati sono un invito alla dolcezza del contatto, la loro riservatezza non scontrosa un anelito di grazia in questi mari tristi e ostili.