Costa de la Luz

Costa de la Luz

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L’Andalusia è lo scenario di un capitolo cruciale de “La libreria dei naufraghi”. Scegliere il luogo più torrido d’Europa è stato come voler “asciugare” l’anima nordica del romanzo e dare una luce abbagliante e differente alla storia che ho scritto. Una terra magnifica, di città dalla vitalità costante e nobile mestizia, e parchi, alcuni di alture aride e nude di vento che al crepuscolo si tingono di viola. L’entroterra è solitudine punteggiata di sporadiche case, con tratti che ricordano parecchio la California. E affacciate dal cielo eccezionalmente limpido migliaia di stelle. Il magnifico parco di Cabo de Gata, brullo e severo con il litorale lambito da acque azzurrognole, trasparenti quanto insidiose, ha un concorrente, la Costa de la Luz, con spiagge estese e acque d’Atlantico inquiete. Diversi anni fa alloggiai in una sorta di bungalow molto semplice nella sua estrosità, pressoché sulla spiaggia, tra Zahora e il faro di Trafalgar. Manco a dirlo, aperto tutto l’anno. Surfisti, diver, informalità. Assoluta indipendenza, pochissima gente. Solitudine esotica fra interminabili camminate sulla spiaggia e bagni e nuoto fra onde importanti. Al tramonto si cenava a un tavolo sulla sabbia, fra generosi piatti di pesce e palmizi – come canta Paolo Conte “davanti a un mare venerato”. Sì, venerato, forse non per i suoi colori, di certo tenui,  ma per l’atmosfera autentica, lieta e piacevolmente dimessa che lo definiva. Musica suadente a basso volume, mentre sulla spiaggia qualcuno raccoglieva molluschi a riva. La sera scendeva dolcissima, rossa, estrema. L’estate sapeva soltanto di vento e di gratitudine.

Andalusia