Capitano che hai negli occhi il tuo nobile destino

 

Capitano che hai negli occhi il tuo nobile destino

 

Happy woman sitting on boat and looking through binoculars.

 

Natanti, spesso in euforica velocità, ogni anno tranciano la vita di chi sott’acqua è intento a osservare la vita marina, lontano dal mondo più conosciuto. Accade così di fare qualche apnea (anche molte) durante lo snorkeling, riemergere e venire falcidiati da moto d’acqua, motoscafi o gommoni.

Nascondersi sott’acqua fra anfratti rocciosi, così come sparire per un po’ nel bagliore del tramonto nuotando al largo richiede di munirsi della boa segna sub. La si lega al piede, come una condanna gentile, le si dà corda fino a far distare la boa almeno cinquanta metri dal proprio corpo. In questo modo chi governa – o dovrebbe saper governare – una barca o moto d’acqua che sia sa di doversi tenere a una distanza di almeno cento metri.

Tuttavia, l’attenzione o l’ascolto per una disposizione che tutela le parti interessate (per esempio chi governa un natante e chi pratica attività subacquea) vengono sovente recepiti nel loro complesso come totalmente ininfluenti, dando luogo a incidenti devastanti.

Eppure l’attenzione non è merce di scambio, mentre la faciloneria è una delle piaghe del nostro tempo. È il gioco oggi forse più praticato, in molti campi, quello della contaminazione dei ruoli nell’illusione di poter sperimentare tutto. Con facilità estrema, senza istruzione, senza regole, senza impegno.

Una barca a noleggio con una potenza modesta di 40 hp non necessita di patente nautica. Eppure dà l’illusione al conducente di dominare una strada fluida. Chi nuota sott’acqua o fa alcune apnee spesso invece vuole essere invisibile “a suo rischio e pericolo”, forse anche perché non gli interessano molto i capelli al vento.

Il primo si convince che nella pratica non è davvero tenuto a vedere alcun pallone galleggiare e poi al crepuscolo o con il sole di mezzodì la visuale è obiettivamente ostica. Risultato: “Che il nuotatore abbia la boa o non ce l’abbia… tanto se lo devo beccare lo becco lo stesso”. Questo sembra il ragionamento.

Ma, a scanso di equivoci, anche il nuotatore-snorkeler che non usa il galleggiante è vittima della stessa faciloneria. Perché si sente al sicuro, separato nel suo silenzio elitario che l’acqua gli dona. L’apnea, il nuoto sono un anestetico al chiasso, in una quiete fatta di bracciate accompagnate solo dalle sonorità del proprio respiro. Risultato: “Che barche e gommoni se ne vadano pure in giro a stipare e inquinare baie. Io resto qui vicino a questi scogli, libero pesce tra i pesci”. Questo sembra il ragionamento.

Purtroppo, non funziona così la libertà. E questi incidenti accadono di continuo. Forse perché non tutti i capitani hanno “negli occhi un nobile destino”, come cantava Lucio Dalla in Itaca,  o forse perché tutto deve essere solo a misura di un ego smisurato, smisurato come la superficie o la profondità del mare e dell’esistenza che si presume di conoscere.