È costato poco, davvero troppo poco, aggiornare l’immagine del profilo di Facebook, con il simbolo di sostegno allo sciopero mondiale contro i mutamenti climatici del 15 marzo scorso. Troppo poco. Nonostante questa mia opinione, ho aggiornato l’immagine della mia pagina Fb personale per qualche giorno, sensibile come molti e corresponsabile come tutti a/di questa mutazione ambientale innegabile. Pensieri angosciosi navigano anche molto lontano. L’isola di plastica nel Pacifico, grande tre volte la Francia, è la più orribile epifania di un mostro marino del tutto artificiale. Creato solo da noi. Che, paradossalmente, sta distruggendo anche grandi balene e quindi immaginari ancestrali.
Amo moltissimo la natura. Non sono stata, non sono e mai sarò (spero) un’integralista. La mia esperienza mi ha insegnato che la natura umana vive di contraddizioni invincibili, ribellioni momentanee e quasi mai durature, crea bilanciamenti e compensazioni alle sue storture, sublimazioni, e manca sostanzialmente di sufficiente coraggio.
L’Italia, il mio paese, dimostrava disprezzo e/o indifferenza già trent’anni fa nei confronti di chi cercava di essere un buon cittadino. Di chi, (come la sottoscritta non integralista), ha anche: riciclato la carta, evitato il cibo spazzatura, riciclato i vestiti usati, fatto riparare quelli ancora in buono stato, comprato usato, chiesto ai negozianti di ridurre il packaging, usato l’auto il meno possibile. Forse perché educata in una famiglia attenta agli sprechi, per me tutto questo è stato facile da comprendere e mettere in pratica. Ma sicuramente senza integralismo. Ho conosciuto i veri coraggiosi e le vere coraggiose che vivevano al freddo con strati di maglioni, altri che trascorrevano il tempo al supermercato a decidere con rigore la propria spesa decifrando mille etichette, altri che in lunghi viaggi in auto si portavano i panini da casa per non mangiare in autogrill e incrementare cibi industriali, altri che non usavano bancomat e carta di credito per disincentivare l’induzione alla spesa facile. Li ammiro, ma non raggiungerò mai la loro coerenza.
Personalmente ritengo il benessere una conquista che non è sempre e soltanto stata raggiunta con una brutalizzazione coloniale, e ritengo questa democrazia marcescente migliore di qualsiasi teocrazia, dittatura, o regime comunista, nonostante tutto. Un “nonostante tutto” certamente pervicace nella sua prevaricazione. Ci sono però degli aspetti che solo un piano quinquennale, forse potrebbe correggere, una pjatiletka che preveda bandi e divieti governativi per tutelare davvero il pianeta a scapito di comodità insulse e mai ragionate da parte dei singoli. O meglio incentivi e divieti. Un esempio eclatante e quotidiano: l’uso indiscriminato dei contenitori di plastica anche per gastronomia senza sugo… per l’insalata di riso basterebbe un semplice sacchetto di plastica biodegradabile… per dire, e invece no, al banco gastronomia ecco contenitore, domopack e busta di carta. Sono migliaia di rifiuti così, ogni giorno.
D’altro canto, anche credere che solo le aziende e le corporations siano la causa del riscaldamento globale è deresponsabilizzare il singolo individuo della sua ratio sul pianeta. Non fare nulla pensando che questo non ci riguarderà perché non saremo noi i giovani fra trent’anni, ma saremo forse già morti, è solo uno dei tanti, ignobili, atti di indifferenza. Non l’unico. È un deliberato rifiuto a diventare consapevoli. La sorprendente tecnologia ecologica, dal canto suo, non nasce da un miracolo ma da una ricerca forte, dalla conoscenza, dalla sensibilizzazione al cercare soluzioni ai danni creati fin qui. Le idee ci sono, le sperimentanzioni continuano, i prototipi sono in funzione. Mancano governi illuminati da una visione.
L’aumento della C02 è dovuta prima di tutto alla predazione umana che si esplicita anche nel rifiuto di un minimo cambiamento negli stili di vita e nelle scelte di consumo. I bisogni indotti sfruttano le proiezioni mentali che ciascuno si costruisce di se stesso nel mondo. Cambiare queste immagini mentali, sarebbe già una grande rivoluzione. Le industrie dovrebbero farci sempre più i conti, nel lungo periodo, e anche la qualità dei loro prodotti e della loro politica economica si dovrebbe evolvere per non soccombere.
Concludendo, vedere così tanti ragazzi sensibilizzati sulla questione climatica, sulla volontà di un cambiamento degli stili di vita e dell’informazione non può non emozionare e far riflettere. Perché tutto è da ripensare. Starà a tutti loro far sì che tutto ciò non resti un movimento fine a se stesso, starà a loro proporre ideali perseguibili nel quotidiano, e non solo nell’eremitaggio come stile di vita. Starà a loro, capire come funziona non solo il mondo ma anche la natura umana. Starà a noi, non lasciarli soli.