Joker. Il mondo non sa di esistere.

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Domenica  ho visto Joker. Faccio quindi parte del pubblico che ha partecipato alla visione del film, incrementando gli stratosferici incassi di un’opera accusata di istigare compulsiva emulazione violenta nei giovani problematici.  Un Joaquin Phoenix immenso – perché altri aggettivi non ne trovo –  per un’interpretazione, virtuosistica quanto si vuole ma che (Di Caprio escluso) nella mia esperienza di spettatrice non vedevo da decenni. Troppo poco per consigliare questo film, certamente. La stampa, prezzolata e non, ha subito creato una dicotomia: o lo ami o lo odi questo film, nessuna via di mezzo. Che è poi anche un’ottima trovata commerciale per indurre gli spettatori a riempire le sale e farli sentire giudicanti netti, “pro” o “contro”, perché oggi la cosa più importante del mondo è avere ragione, non certo discutere. Purtroppo.

La violenza di questo film non sta in un paio di scene di botte e in una di omicidio (molto efferata). La violenza di questo film è prima di tutto la violenza di una società produttrice di disadattati che paradossalmente rinnega il disagio psicologico salvo poi adularlo quando è il momento di fare audience. Joker è sostanzialmente un film sui danni del non ascolto, sulla mancanza della valorizzazione degli individui, sulla solitudine allucinatoria, sulla negazione della dinamica relazionale. E non è, a mio avviso, un film da escamotage fumettistico (nonostante questa mi pare sia la considerazione più diffusa, credo molto impropriamente, per via di Batman).  È piuttosto un film letterario, costruito anche su un piano onirico che resta però fortemente icastico e realistico (quindi grandioso cinema). Brani musicali popolari e struggenti accompagnano catarsi e disaffezioni al sistema, e corridoi sono riempiti da un clown nelle cui movenze sta l’intera follia del mondo, come la storia cinematografica ci ha insegnato sin da Chaplin e non solo.

Gotham City è una sorta di immensa New York, che mi ha ricordato certamente New York, ma soprattutto la disperazione che ho visto per le strade di Seattle e di cui ho scritto qualche tempo fa. È anche un film sul delirante possesso delle armi negli Stati Uniti, sulla possibilità di diventare assassini per apparenti futili motivi, sulla coazione  – incurabile e straziante – a ripetere violenza, sulle politiche di taglio ai fondi per la salute sociale.

Questo film mi ha emozionato moltissimo, e anche commosso per come riesce a trasmettere empatia nella rappresentazione del disagio psicologico, della malattia mentale. Così, almeno all’inizio, si soffre con Joker, con il suo disperato bisogno di amore e inclusione, si prova il sentimento di una persona allucinata che si costruisce una vivida idealizzazione, una vita di trasposizioni, e che dubita della sua stessa esistenza. Penso che questo film sia un film su un parricidio sociale e anche sulla tragedia del paternalismo interessato che ha sfruttato gli individui in ogni epoca storica, sull’insano possesso di armi  che rende chiunque un potenziale criminale, sulla ricerca disperata delle proprie radici familiari, dei propri affetti a volte mai esistiti e sulla nascita del populismo violento. La rivendicazione collettiva della maschera e l’emulazione dell’azione violenta sono definitivi nella scena finale con il sottofondo della musica dei Cream. Emulazione che è sempre esistita nella storia umana là dove c’era un vuoto esistenziale, culturale, istituzionale, affettivo, che le comunità o le realtà familiari hanno negato o rimosso per convenienza, omertà o ignoranza. Poi esiste la follia nel DNA, certo.

Abbiamo bisogno di film con visioni migliori, che diano voce alla memoria e non ai selfie o alle emulazioni, che rivalutino l’importanza di comportamenti e atteggiamenti empatici, perché il Vuoto  non si vince mai da soli. Abbiamo però forse anche bisogno di film come Joker. Di Joker e delle sue folli e mostruose pedate rosse danzanti in un corridoio bianco, proprio per ricordarci che abbiamo un disperato bisogno di consapevolezza e inclusione in un mondo che sembra ogni giorno più sanguinario, più delirante: un mondo che come Joker non sa forse persino di esistere, se nessuno si accorge di lui.