Nulla sarà più come prima: la frase assertiva che in questi giorni abbiamo letto e ascoltato è anche il presentimento che si è fatto spazio dentro di noi, trasformata nei social in una sorta di memento non certo in modica quantità.
Nulla sarà più come prima, dopo Covid-19, perché sarà necessario ripensare la produzione, l’economia, i consumi, l’uso della terra, l’istruzione, la cultura, la distribuzione, la governance, la globalizzazione. È impossibile adesso fare previsioni, prima dobbiamo arginare la catastrofe, dicono e scrivono inoltre.
Le strade sono pattugliate, anche dall’esercito, contro assembramenti, sport di squadra nei viali, eccetera. Tutto ciò è angoscioso. L’immagine in sé, quella di un’intera popolazione chiusa in casa e i militari in strada rimanda a situazioni storiche ben precise e anche attualissime in tanti luoghi del pianeta, vicini e remoti. Le immagini tendono a sovrapporsi per natura, e credo che sia necessario mantenere una lucida distinzione tra eventi diversi.
La reazione di massa di fronte a una primavera anticipata e all’arrivo incipiente del Covid-19 è quella di una folla facilona, incurante, che prendeva il sole e riempiva le piste da sci e i lungomare e i lungofiume. Che aperitizzava senza pietà.
Ego quindi, si dimostra del tutto disinteressato a Pòlis. E questa non è certo una novità. Ma in questo caso l’effetto di una rimozione è molto evidente. Folla che rimuove a livello profondo il demone della tragedia sanitaria. Una negazione collettiva lampante. Siamo un paese per certi versi impunibile, impunito.
A ciò si aggiunge, senza alcun dubbio, la sfiducia generale nelle istituzioni e soprattutto nella scienza, attaccata in questi ultimi anni da haters di ogni ordine e grado, abilissimi venditori di consolazioni che conoscono esattamente ciò che la gente ama sentirsi dire, evitandole ogni complessità. È molto più interessante, e in un certo senso premiante, credere a un macchinoso e ben ingegnato complotto piuttosto che farsi una ragione della natura matrigna. E la scienza medica, d’altra parte, è purtroppo spesso carente di efficaci comunicatori in grado di spiegare la complessità, più interessati forse a mantenere elevato il prestigio mediatico. Il populismo d’opinione ha fatto il resto, cioè gran parte del disastro intellettuale.
Detto questo, il focus è sempre e solo uno: saper accettare una riduzione della libertà per una causa molto più grande, solidale e ormai planetaria. Ma, benché sia stato spiegato, e benché motti ottimistici abbiano incoraggiato l’esercizio domestico della creatività (concertini sui balconi) si sono affollate le aree verdi e non solo, in modo inquietante e spropositato. Come un’improvvisa, fortissima e inarrestabile dipendenza, ma senza nascondersi, così alla luce del sole.
Ma al contempo si è intensificata la narrazione video di giovani degenti che raccontano ciò che molti non volevano leggere o ascoltare. Cioè che se le probabilità di morire di Covid-19 sono nel complesso ancora relativamente basse, sono cresciute esponenzialmente le possibilità di ammalarsi e trascorrere anche settimane in ospedale, con grave insufficienza respiratoria, attaccati all’ossigenoterapia o spediti direttamente nei nuovi lazzaretti della terapia intensiva. Si è accentuata anche la narrazione dei medici ormai quasi insonni che dicono che l’età si abbassa. Si è intensificata per così dire la “presa diretta”, il “live” e come per Ground Zero, c’è un’iconografia dei combattenti e custodi che in quel caso erano i pompieri e qui sono gli infermieri. Soltanto questa narrazione e i divieti stanno inducendo, giocoforza, a comportamenti diversi. Non altro.
Anche se va detto che nessun paese può essere preparato a un’emergenza di questo tenore, stiamo pagando drammaticamente gli irresponsabili e scellerati tagli finanziari alla Sanità a favore del sistema privato, i blocchi all’avvio delle professioni sanitarie, le carenze di comunicazione organizzativa, la burocrazia.
Abbiamo un debito morale assoluto verso tutti coloro che potrebbero aver bisogno di strutture ospedaliere, qualunque patologia essi debbano curare. La rimozione collettiva del fatto che infettandosi e infettando si bloccano gli ospedali ha riguardato principalmente il proprio Ego, vale a dire: tutti si possono ammalare tranne me.
Le persone più fortunate (ossia, ad esempio: non afflitte da gravi patologie psichiatriche, non in corso di difficile separazione, non homeless, non anziani soli al mondo) non possono rimuovere il fatto che la proporzione non esiste. Non può esistere la proporzione fra uccidere la noia con una giornata di sole all’aperto e vivere il dramma nei nuovi lazzaretti. Se questa proporzione non si riesce a cogliere e occorre pattugliare le strade, e condividere video di malati, credo che non possiamo ipotizzare nessun “Nulla sarà come prima”, perché prima di qualsiasi cosa dovrebbe farsi forte e libera la consapevolezza del presente.
Sarà una guerra lunga e piena di feriti, se la prima, quella facile che si combatte stando semplicemente chiusi in casa sul divano a scegliere i propri interessi preferiti da uno scaffale, da un monitor o da un video non funzionerà.