Cliccare un’unica idea di mondo

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 È ben chiaro a chiunque non abbia mai smesso di leggere quotidiani che la homepage di una testata giornalistica non è più un giornale. Ma un confezionamento di un’unica idea di mondo. A prescindere – e qui è il paradosso – dall’orientamento politico della testata.

Emerge cioè un’idea di mondo disperata, necessariamente conflittuale, faziosamente insana. Questa dimensione tragica (che senz’altro ampiamente ci rappresenta ma non nella totalità) suole essere spesso affiancata da una compensazione consolatoria piuttosto naïf. Ecco che le prime pagine si “completano” allora di “colmi”. Ossia notizie più o meno eclatanti che sfruttano un romanticismo ecologista, spesso  animalista, molto edulcorato e di sensazione. L’acqua calda è già stata scoperta, d’accordo: cosa non si fa per acquisire click.

Tutto questo,  però, è assolutamente rappresentativo di ciò che si è diventati, si sta diventando. La necessità del ragionamento, quasi considerata accessoria, è trascinata in una drammatizzazione compulsiva a discapito della lucidità. Il mondo, la storia, la società da percepirsi solo emotivamente piuttosto che intellettivamente. Un rischio mai abbastanza calcolato dai lettori e molto ben calcolato dall’economia, e quindi dai giornali che ormai vivono di pubblicità e inserti. Qualcosa di pazzesco – il mondo, la storia, la società percepiti solo emotivamente.

Giorni fa, in una stessa prima pagina:  Michelle Obama esprimeva la sua depressione per la situazione mondiale, poco oltre un articolo citava i nuovi riti iniziatici delle feste di laurea che prevedono botte da orbi, seguiva la cronaca nera più efferata, e la dolorosa e complessa realtà del Libano era ridotta a un video dell’esplosione al porto cliccabile all’infinito, dove la tragicità è puro effetto cinematografico. Insieme a tutto questo, la politica che strumentalizza il virus che strumentalizza la scuola e quell’unione onnipresente, sospetta, di avverbio di modo e participio (l’espressione “clinicamente morto”) riferita all’agente patogeno che si è volatilizzata. A tutto ciò si aggiunga la cronaca a puntate di madri fragili e incredibilmente sole e vittime, insieme ai loro figli, di una cultura che respinge la psichiatria e nega che il cervello sia un organo come gli altri. Un neurotrasmettitore da regolare, proprio come un’antenna niente di più. E non meno decisivi, ascolto, empatia e affetto, responsabilità amicali e parentali, tuttavia totalmente assenti.

Pare, però, si viva e ci si nutra continuamente e solo di prime pagine web, assorbendo titoli e foto in modo compulsivo, senza leggere gli articoli. La ricerca della notizia non è che la ricerca della novità continua, della risposta emotiva, che rimuove così la necessità di rischiare, mettersi in gioco, pensare, elaborare. Ecco che leggere la prima pagina in questo modo compulsivo permette facilmente di avere qualcosa di cui scandalizzarsi e – in base all’attendibilità o meno delle testate – di sbandierare qualche fake news in cui credere come il tao fai da te di un adolescente tormentato, di schierarsi su un fronte (negandosi, proprio come un adolescente, la possibilità di ricredersi) perché sembra più necessario avere nemici da odiare che desiderare di comprendere di più e con onestà. E qui penso a due sentimenti sociali, per i quali la lingua tedesca ha due parole precise: Weltschmerz e Schadenfreude. La prima indica il dolore che l’individuo prova nei confronti della perfidia del mondo. Una sorta di tristezza profonda per ciò che accade intorno a lui, con un senso di assoluta impotenza a modificare le situazioni. La seconda indica la contentezza che l’individuo prova per il dolore capitato ad altri. Direi che la prima pagina web potenzia entrambi questi stati d’animo (per altro storicamente accertati e analizzati), come un magnifico dopante, nel flusso incessante e annoiato di ricerca della novità-news e debolezza nella costruttività (sia essa collettiva, ma anche individuale).

Al netto di tutte queste considerazioni, l’immersione in una cronaca squisitamente emozionale del mondo, e sempre e soltanto tragica (mentre la volontà costruttiva viene spesso trattata con cortigianeria fino a farne una “agiografia” laica) segna il frantumarsi dell’onestà intellettuale, un’ambizione preziosissima che dovrebbe interessare ogni essere umano, il quale non può per sua natura raggiungere l’imparzialità.