Si parla tantissimo, a volte forse troppo, di creatività, divinando le mille cause che scatenano il suo turbinio di ebbrezza espressiva. E si strutturano e divulgano metodi per potenziarla. Non ho mai creduto che la creatività si possa acquisire con un metodo. Penso invece, questo sì, sia imprescindibile studiare la tecnica e cercare di valorizzarla al massimo livello. Spesso chi possiede qualche forte attitudine artistica, chi è autore di qualche cosa (oggetti, scritti, musiche, sculture, fotografie, dipinti, film) sa bene che la creatività non si estorce.
Se si escludono le opere collettive, l’ideazione è un atto soggettivo che si muove su acque mosse o calme del proprio vissuto, ma sempre con uno sguardo che punta a individuare un significato e a farlo emergere da una melma indefinita. Creare è individuare. La creatività non è tecnica. La creatività non è neppure soltanto un atto ingenuo, immediato, spontaneo, naïve. È un processo anche sofferto, invadente, caotico e spesso, certo, totalmente imponderabile. Questo penso, e parlo di me, della mia esperienza. Scrivo perché ho la passione di scrivere.
La mia creatività non è forzata, strattonata da urgenze professionali, semplicemente perché non è questo il mio lavoro, non vivo di questo, ma ammiro – lo dico senza ironia o sarcasmo – chi, artista di professione, riesce ad avere una costante creatività e a produrre svariati ottimi lavori. Avere questa costanza creativa sarebbe fantastico.
La stesura del mio prossimo romanzo è in una fase piuttosto intensa, in effetti scrivo parecchio. In snervante bilico è ancora la trama. Le ricerche per gli approfondimenti storici e le ambientazioni le trovo sempre appassionanti, esattamente come era successo per “La libreria dei naufraghi”. Confesso che ho proprio voglia di arrivare all’ultimo paragrafo e chiudere per dedicarmi alla lunga fase di editing. Le correzioni e le revisioni sono infatti – come ben sa chi crea guardando con venerazione e un tantino di ossessività a un buon livello di tecnica – qualcosa di sovrastante che innesca frustrazione e incontentabilità assolutamente patologiche 🙂 In effetti proprio da questa incontentabilità nasce la necessità di un’ulteriore stesura (magari anche solo di alcuni capitoli) e la messa in discussione non solo di espressioni o dialoghi, che niente… non ti convinceranno mai, ma anche della esistenza o dell’uscita di scena di alcuni personaggi (e non solo secondari). Poi la ricerca delle contraddizioni e il controllo della verosimiglianza di alcuni dettagli.
Sto parlando di aspetti scivolosi. Ad esempio un dialogo che avviene, mettiamo, un certo pomeriggio del giugno 1970 e poi venti capitoli oltre lo stesso viene ripreso ma è una mattina dell’ottobre del 1970, e simili. Come si dice, diavoli in tutti i dettagli. Ma anche clown. Perché spesso si notano anche errori esilaranti rileggendo le bozze. Gli errori della creatività che la tecnica narrativa non può perdonare e i lettori attenti neppure.
Ci sono momenti straordinari, in cui scrivi e arriva quell’idea incredibile, luminosa, atterrata come un UFO, idea che il tuo inconscio conosceva molto bene, e ben prima di te. Un’idea. Come la stazione di benzina nella foresta, di David LaChapelle.