Un tempo da collezione
Si poteva dire che il cielo scozzese fosse plumbeo, l’oceano calmo, l’auto d’epoca lucidissima, i proprietari eccentrici e il golden retriver – a giudicar dal musetto imbiancato – anziano. Si poteva anche maliziare che quella sosta fosse un’esibizione della libertà senile, una rivendicazione affettiva di una storia personale o di tempi passati unici e più felici.
Sul metallo cromato del retrovisore laterale erano riflessi alberi, case, persone. Dietro le spalle e il garrese di tutti, il mare cantilenava la sua onda gentile fra nuvole sovrapposte. Si poteva anche dire che tutte e tre le creature lì dentro fossero interessate a cose diverse. Osservando quest’auto d’epoca in sosta lungo una spiaggia della Scozia nord-orientale si potevano immaginare molte realtà.
Il guidatore stava finendo di leggere un libro, gli mancavano appena due pagine.
“Solo un attimo, fammi finire questa storia pazzesca”, disse alla passeggera accanto a lui che lo aveva appena incitato a mettere in moto l’auto.
Lei lo assecondò, mentre osservava la gente che si incamminava verso il raduno di veicoli d’epoca, dove avrebbero sfilato a bordo della gloriosa auto da collezione. Nel lento e sonnacchioso viaggio fino a lì, la donna aveva riflettuto meglio sulla velocità del tempo attuale, fuori sintonia con quella del suo tempo interiore sempre indietro di una battuta. Così era andata sin dalla giovinezza, e forse per questo amava da tanti, tantissimi anni, l’uomo al volante. Perché lui aveva capito il senso di quel suo tempo, era un collezionista di tempi e di ricordi e l’aveva amata per quella sua capacità di essere fuori moda, anche quando era diventata un’entusiasta internauta. Una capacità, la definiva, quasi un valore in certi momenti.
“Un libro splendido! Dovresti proprio leggerlo”, esclamò lui.
“Adesso però tocca a noi, dobbiamo andare a sistemare la macchina, ci stanno facendo segno di entrare”, replicò lei.
“Sì”, disse lui mettendo in moto, “È una storia ambientata nei dintorni di Bath, ricordi… da giovani quell’escursione lungo i canali zaino in spalla, quando dormimmo in quella houseboat scassata?”
Se lo ricordava benissimo, anche se erano passati quasi duemila anni. Ricordava il tonfo delle gocce di pioggia sugli alberi lungo il sentiero e la voce di lui, appassionata e meravigliosa. Ricordava il il folle entusiasmo per gli studi e le ricerche che lei stava compiendo, e il piacere di raccontarsi a lui. Ricordava quell’aria umida riempita delle loro voci. Dei loro racconti saturi di amore per la terra, per il lavoro, per il senso sociale che quel lavoro avrebbe avuto per tante persone.
“Siamo arrivati, ti passo il badge, tieni”, disse lei.
La cagnolina ascoltava le loro voci. Guardava il paesaggio e tutte le cose che forse non aveva mai visto. Nonostante, da circa dodici anni, quei due l’avessero portata dappertutto.
L’auto sfilò. Gli spettatori avrebbero potuto dire che era una gran bella macchina, che a bordo c’era un quadrupede con un musetto dolcissimo, ma anche malinconico, oltre ai due vecchi bipedi seduti davanti. Due tipi estrosi, un po’ fuori dal tempo anche loro, ma era normale, dopotutto, in quella circostanza.
Copyright © 2018, Silvia Dacomo
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