Prospettiva celeste
Girovagava fra le colline. La macchina fotografica a tracolla. In cerca di spazio fra i pensieri.
Gli alfabeti ottusi dei colleghi, la faziosità dei telegiornali, il loop quotidiano, le frasi ripetitive che diventano sentenze erano l’acqua marcescente che stagnava nella sua pozza intellettiva.
Era una domenica di maggio ed era sicuro che dovessero esserci molte altre cose sulla terra, fuori dalle architetture dove si produceva lavoro e si respiravano gli affetti. Sì, c’erano molte cose sulla terra, e in giro dovevano esserci anche dei simboli. Invisibili, al primo impatto, certamente. Ma lui adesso era lo stregone e l’obiettivo il potente oggetto esoterico.
Il traliccio visto da vicino era immobile e sincero. Era proprio lui, il colosso conduttivo e luminoso, una delle tante sentinelle della luce sulla terra. Interessante, a suo modo. Però doveva esserci dell’altro. Ne era sicuro. Vi girò intorno, e poi ebbe un’idea. Si intrufolò fra quegli arti d’acciaio e lo sorprese qualcosa di magnifico.
Visto dal basso il gigante sembrava infinito e con un punto di fuga che era insieme altezza e profondità, geometria e stordimento. C’erano ragnatele, frecce, il volto di un’extraterrestre preso a prestito da un aquilone, e poi appesa là in alto chissà cosa ci faceva la sagoma di quella canoa abbandonata dai pellerossa? E un gigante così imponente per sorreggere quel sottile pentagramma di fili, era incredibile!
Al di sopra del gigante e del suo sibilio elettrico, sfilavano le nuvole. Erano nubi comuni, quelle che di solito non fanno alzare lo sguardo. Eppure, viste attraverso quel reticolo sovraumano apparivano soffici, aggregate dal vento in arcipelaghi di aria.
Sembrava che il gigante avesse capovolto il mare.
Tutto, per un attimo, era divenuto epico. Ora c’era di nuovo spazio tra i pensieri.
Copyright © 2015, Silvia Dacomo
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