Tempo gitano e galantuomo

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Tempo gitano e galantuomo

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Ecco invece, dopo Calatrava, la narrativa per eccellenza della Spagna meridionale. Flamenco. In un locale un po’ fuori mano di Siviglia ma, mi dissero, di quelli giusti.

Non il flamenco per imbambolare il turista, per intenderci. Posto ruvido, affollato, tanta sangria, e quel pubblico attento che non fa sconti agli artisti mediocri.

In quello spazio, di anime e musica autentica, questa ballerina colorava l’aria. Era compresa del ballo, ma anche della sua gioia nel danzare. Forse erano la stessa cosa. Il poster sul muro era quello del Festival Flamenco de la Frontera del 2011 a Morón, di un anno prima. Ma la foto in bianco e nero era stata scattata nel 1967 e immortalava tre musicisti, Joselero de la Frontera (che non si vede), Steve Kahn (chitarrista jazz statunitense) e Diego del Gastor (chitarrista di flamenco).

In quello spazio, che la ballerina tinteggiava con l’azione, tutti quei tempi si sovrapponevano in eco gitane. Millenovecentosessantasette, duemilaundici, duemiladodici, erano tutti lì gli anni e forse i millenni, in un unico istante. E dal tempo del poster arrivava un battito di mani, un incitamento. Alla danza, alla vita, alla musica. Come se nulla possa meritare veramente tristezza. Eccezione fatta per la malinconia, di cui il flamenco si nutre per poi sublimare.

Una foto sfuocata di una serata nitidissima e bellissima. Capitata per caso, grazie a quei musicisti sul palco sconosciuti, ai ballerini sconosciuti. Grazie anche ai suggeritori sconosciuti di luoghi sconosciuti.

Costa de la Luz

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Costa de la Luz

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L’Andalusia è lo scenario di un capitolo cruciale de “La libreria dei naufraghi”. Scegliere il luogo più torrido d’Europa è stato come voler “asciugare” l’anima nordica del romanzo e dare una luce abbagliante e differente alla storia che ho scritto. Una terra magnifica, di città dalla vitalità costante e nobile mestizia, e parchi, alcuni di alture aride e nude di vento che al crepuscolo si tingono di viola. L’entroterra è solitudine punteggiata di sporadiche case, con tratti che ricordano parecchio la California. E affacciate dal cielo eccezionalmente limpido migliaia di stelle. Il magnifico parco di Cabo de Gata, brullo e severo con il litorale lambito da acque azzurrognole, trasparenti quanto insidiose, ha un concorrente, la Costa de la Luz, con spiagge estese e acque d’Atlantico inquiete. Diversi anni fa alloggiai in una sorta di bungalow molto semplice nella sua estrosità, pressoché sulla spiaggia, tra Zahora e il faro di Trafalgar. Manco a dirlo, aperto tutto l’anno. Surfisti, diver, informalità. Assoluta indipendenza, pochissima gente. Solitudine esotica fra interminabili camminate sulla spiaggia e bagni e nuoto fra onde importanti. Al tramonto si cenava a un tavolo sulla sabbia, fra generosi piatti di pesce e palmizi – come canta Paolo Conte “davanti a un mare venerato”. Sì, venerato, forse non per i suoi colori, di certo tenui,  ma per l’atmosfera autentica, lieta e piacevolmente dimessa che lo definiva. Musica suadente a basso volume, mentre sulla spiaggia qualcuno raccoglieva molluschi a riva. La sera scendeva dolcissima, rossa, estrema. L’estate sapeva soltanto di vento e di gratitudine.

Andalusia