Perché viverci non significa necessariamente viverla

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Perché viverci non significa necessariamente viverla

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C’è tutto un “evviva!” per il verde metropolitano e collinare. Tutta una narrativa in linea con il rilancio di stili di vita naturali, orti pensili, aree verdi comuni nei cortili, cohousing in vecchie dimore (dalla vecchia catapecchia ristrutturata con sacrifici e dedizione alla magione storica del più o meno granoso possidente).

In collina ci vivo, alcuni chilometri dal centro città. In un piccolo condominio degli anni Cinquanta, con un giardino in comune (sconnesso e campagnolo, senza irrigatori – nessun prato stile campo da golf per intenderci) e diversi alberi da frutto. Un rio vi scorre accanto. Da qui, si snodano sentieri della rete escursionistica comunale. Al mattino presto e dopo il lavoro, o nei weekend, faccio spesso camminate nei dintorni, anche lungo le stradine asfaltate a zero traffico. Scarico fatica, pensieri, libero la vista che fra carta e monitor viaggia per lavoro su strade a lunga percorrenza di parole ogni giorno.

Di solito non incontro anima viva, raramente qualche jogger o qualche cane con padrone al seguito. E di solito, nei weekend i bipedi che compaiono sono per lo più ciclisti che arrivano dalla città. Ne deduco che il verde, per la maggior parte dei residenti, è soltanto un paesaggio che riempie la cornice di una finestra, è un esilio visivo che, in qualche modo, deve stare oltre il vetro. Basta che ci sia silenzio e vuoto automobilistico.

D’inverno, la neve qui cade ben più abbondante che in città. C’è un breve sentiero senza luci a due passi da casa: innevato è spettacolare. Eppure non ho mai visto nessuno camminare in mezzo a questa bellezza.

In tutte le stagioni, evidentemente, della casa si preferiscono le quattro mura, si esce solo per portare a spasso il cane: ragazzi, bambini e adulti tra computer e aria aperta hanno già scelto il primo.  Trenta anni fa anche qui era diverso, mi raccontano le persone che ci sono nate: ragazzi in slitta, bambini che giocavano ovunque, gente che passeggiava per sentieri, che raccoglieva frutti di bosco e funghi. Meno recinzioni. È solo un quadro naïf? Può darsi, ma accadeva, non sarà perché forse c’era meno narrativa social e più partecipazione?

Osservare a tempo perso che cosa accade di micro vite su cinquanta centimetri quadrati di prato, uscire nel bosco nelle sere di giugno per conoscere la fantasmagoria delle lucciole fra i voli silenziosi dei gufi, avvistare i cuccioli di scoiattolo (qui ce ne sono ancora di rossi) che si rincorrono sui tronchi, seguire le poiane che volteggiano al tramonto, e poi tassi, volpi, cinghiali, cinciarelle. E poi? La ricerca di more, ribes, fichi.

A conti fatti, tutto questo forse interessa realmente a ben poche persone che abitano il verde. Perché viverci non significa viverla, la natura. Presunti spiriti naturalistici che “stanno” su Youtube oppure ai vetri di Windows, o dietro la cornice della propria finestra, da quando il panorama è diventato principalmente una delle tante cose di questo pianeta da “usufruire”, e che ha creato, tra l’altro, anche un bel valore di mercato. Appassionati che non conoscono il profumo che ha il mattino e la notte in collina. Anche se ci abitano. Che peccato.

Nota*: foto scattate l’altro ieri durante una passeggiata nei dintorni di casa