La palpebra e Daniel Blake

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La palpebra e Daniel Blake

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Newcastle, nella contea inglese di Tyne and Wear confinante con il desolato e magnifico territorio del Northumberland, è una città che lavora sodo e poi si diverte ostentatamente.

Lungo il fiume Tyne si susseguono i segni architettonici della rivoluzione industriale che la vide protagonista. E luccica quel bruco d’argento, la sala da concerto disegnata da Norman Foster, dalle cui vetrate curve scegli l’inquadratura urbana che preferisci e che meglio ricorderai.

La città, bellissima nelle contrastanti sovrapposizioni storico-urbanistiche, al tramonto del venerdì rivela una repentina mutazione antropologica. Diventa una scena indiscussa dell’Io. Competizione estetica di lame di sguardi e corpi marmorei. Lusso negli abiti, vistosità di acconciature, stoffe costose. Non importa se ci sono dieci gradi, non deve esistere altro che la seta che indossi. Euforia nei torrenti alcolici che scorrono davanti ai pub, alle discoteche piazzate dove non ti aspetteresti e custodite da buttafuori giganteschi. La malinconica attitudine vittoriana degli edifici è assediata da una sorta di “Grande Bellezza” sorrentiniana.

In una dorata domenica di autunno, faccio colazione in un dehors sul lungofiume e mi lascio sorprendere dalla grazia naïf che solo i nordici riescono a esprimere ogni volta che il sole sembra proprio non voler andarsene. Beatitudine sui volti, traduzione di “ma allora oggi il bel tempo fa proprio sul serio!”. Centinaia di persone passeggiano sul lungofiume nutrendosi di luce. Il fiume e il Sage Gateshead scintillano. Ecco una spiaggia artificiale con sdraio libere, scatto una foto a una coppia che chiacchiera e ride. Mi ricordano mio padre e mia madre tanto tempo fa. Rilassati e consapevoli dei loro momenti felici.

Brevi e coraggiose zipline dal BALTIC (l’ex granaio costruito negli anni Trenta e ora prestigiosa galleria d’arte) che terminano in applausi e grida gioiose verso chi attraversa il Tyne volando con il caschetto protettivo ben calato sulla zucca. Sullo sfondo i ponti storici e il Millenium Bridge, una meraviglia ingegneristica che si solleva al transito delle barche. L’opera evoca il movimento di una palpebra (per questo motivo il ponte è noto come “Blinking Bridge”).

Ieri sera, scorrevo al computer le foto ricordo scattate l’autunno scorso. Rivedevo parti antiche della città, ma anche l’occhiolino strizzato dalla palpebra del ponte più recente, il via vai nei bar, il jogging, la maratona di beneficienza. Alcuni video mi riportano ai Dire Straits, quel mattino sparati a tutto volume davanti all’auditorium. Tutto era energia, vibrante senso di libertà, perché l’oblio della fatica deve poter essere senz’altro così.

Ma, c’è sempre un “ma”, purtroppo o per fortuna. Il vecchio mondo industriale è stato molto imperfetto. Ma almeno coraggioso se comparato a certo (non tutto, no) attuale terziario pieno di ignavia e burocrazia. E allora penso a I, Daniel Blake, l’ultimo film di Ken Loach che ha vinto la Palma d’Oro a Cannes pochi giorni or sono. Non so se mi piacerà (non tutti i film di Loach mi sono piaciuti, ma alcuni sì, moltissimo). La storia è ambientata proprio a Newcastle e racconta qualcosa di importante e scomodo, qualcosa che la cosiddetta “gentrification”, strizzando l’occhio alla barca che passa e al flâneur curioso e incantato, sa senza dubbio molto ben celare.