Su Gorropu
Lo sappiamo bene. Tutte le sfumature tonali tra il blu e il verde, possibili e fantasticate, il mare della Sardegna le possiede. L’identità dell’isola è fatta di acque marine luminescenti, litorali di spiagge candide, cale minuscole e dune.
Eppure.
Mi è capitato di conoscere altre acque sarde, che riportano a immaginari meno consueti, a spazi riservati e lontani, a risvegli profondi di fronte alla natura. È stato l’incanto di Su Gorropu, nel complesso montuoso del Supramonte (ricordate la canzone di De André?). Una gola, detta anche, per maggiore brillio mediatico, “canyon”. Ma è pur vero che di questo si tratta ed è impressionante. Al termine di un lungo sentiero nella macchia mediterranea, si apre però una valle che conduce al canyon vero e proprio. È una valle minuscola e delicata. Dove la fatica per raggiungerla sotto un sole intransigente si dimentica in un istante.
Una spuma rosa ondeggia sotto il cielo cobalto, sono gli oleandri. Una forza candida s’impone, sono i massi bianchi di roccia calcarea. Bianchi e levigati come confetti. Imponenti e surreali come L’Angelus architettonico di Millet di Salvador Dalí.
Era luglio e il sole era decisamente alto. La valle era deserta. In una giornata così tersa, dopo giorni di meteo indeciso, le acque del vicino Golfo di Orosei erano così indescrivibili che per gli amanti del mare come me scegliere di fare un’escursione nell’entroterra sembrava assurdo. Eppure. In quella valle del Supramonte, le pozze d’una trasparenza disarmante e meravigliosa erano messe lì per inebriare di frescura. Messe lì per farci un bagno inaspettato e sorprendente.
C’è sempre un luogo che sfugge al canone, e c’è sempre un luogo al quale si giunge senza averne visto prima neppure un’immagine, ma semplicemente avendo seguito un’indicazione stradale, una lettura o un suggerimento. Un luogo in cui tutto diventa evidente. Neppure più luogo, forse solo meraviglioso archetipo.